Mary Shelley - Frankenstein

L'avevo studiato a scuola, prima di comprarlo, e quindi sapevo già che non mi sarei dovuta aspettare un horror vero e proprio, come le versioni cinematografiche ci hanno illuso, bensì qualcosa di più profondo e educativo.
Così con questo spirito l'ho cominciato, ma poi ho dovuto constatare la stessa delusione che mi ha dato Sweeney Todd: il background storico (in questo caso prevalentemente romantico) è a dir poco pesantissimo. Insomma, ne ho le scatole stracolme di leggere di donne bellissime/bravissime/che ti confortano con un sorriso e tutte quelle cose vomitevoli e banali che ci tiriamo dietro da dante in su, e ciò mi ha infastidito ancora di più perché l'autrice è uan donna, figlia (peraltro) di una delle prime femministe. Insomma, van bene le ragioni di marketing, però 200 anni dopo sono veramente una lamata!
Come spiega la Shelley nella sua introduzione, questo riomanzo sarebbe dovuto essere un racconto breve, e fu suo marito ad esortarla ad ampliarlo: ecco come mi spiego tutte queste sbrodolature che conivolgono ben poco, togliendo anima alla parte più inquietante, irrazionale e commovente dell'opera, che è scaturita direttamente dall'incubo dell'autrice ed è confluita nei vari film.
Molto interessante è poi l'attenzione psicologica (ecco perché non è un banale horror che ti fa spaventare e basta: fa riflettere), che all'inzio ho giudicato poco approfondita, ma su cui ho dovuto ricredermi verso le ultime pagine, a cui non ho ceduto una lacrimuccia soltanto per orgoglio.